"Work hard, play smart"
Scuole e università chiuse, perdita di circa 7 miliardi di euro* nel settore turismo, voli per l’Italia sospesi, Vinitaly e Napoli-Inter di Coppa Italia rinviate. Di certo uno dei momenti più difficili mai affrontati, e la primordiale sensazione che si trattasse di una cosa passeggera sta ora preoccupando la quotidianità degli italiani. Dopo mascherine, gel disinfettanti, quarantene obbligatorie, arriva ora l’istanza di fermo per scuole e uffici a dimostrazione che l’emergenza sanitaria più grave degli ultimi anni, sia determinata a mettere in ginocchio il futuro economico e sanitario di un’intera nazione.
Si parla di debolezza, paura e insicurezza ma la verità è che affrontare qualcosa di inarrestabile e sconosciuto di questa portata, lascia tutti inermi e disarmati. Tuttavia, istituzioni e aziende non hanno tardato a mettere al primo posto la salute dei “produttori” italiani avviando un protocollo che da giorni accompagna i titoli di molti giornali: lo Smart working.
1. Una riflessione prima di tutto sul lavoro
Se c’è una cosa che noi italiani abbiamo avuto modo di dimostrare grazie a questo Coronavirus, probabilmente è la capacità di non farci abbattere anche nelle più terribili circostanze. “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, no?
Dopo i numerosi allarmi e viste le ultime drastiche misure di precauzione, l’Italia è pronta ad abbracciare una nuova filosofia che accoglie sia la sfera digitale che quella corporativa. Stiamo parlando di una mentalità già conosciuta da digital nomads, manager e liberi professionisti, che da nuovo verrà sperimentata anche da adolescenti e lavoratori caldamente invitati a lavorare da casa. Si contano circa 570.000 i casi di lavoro fuori dall’ufficio che, secondo Osservatorio smart working della School of Management del Politecnico di Milano, ha registrato un aumento del 20% negli ultimi due anni. Questa modalità operativa permette a più soggetti di interrogarsi sulle proprie capacità lavorative, di mettersi in discussione uscendo dalla propria area di confort ma soprattutto sull’influenza che il lavoro ha nelle nostre vite.
Ma andiamo per gradi, come si suol dire. Non a caso si parla di lavoro intelligente, come una prestazione che combina lavoro all’interno e fuori dall’azienda, senza vincoli di orari e svolgimento, avvalendosi soprattutto delle nuove tecnologie digitali. In questo modo ci si slega dalla solita routine mantenendo però il proprio potere organizzativo e direttivo. Si lavora dunque sulla qualità e non sulla quantità degli obiettivi, grazie ad una concezione più rigorosa e meno tradizionale.
2. Lavoro e vita privata: chi pesa di più nella bilancia?
È stato constatato che se il lavoro smart venisse riconosciuto come un legittimo contratto di lavoro subordinato, porterebbe un incremento del 15% in termini di efficienza sulle prestazioni dei collaboratori, nonché una stima di circa €13.7 miliardi* in termini di produttività. È facile pensare a questo approccio come la gallina dalle uova d’oro capace di dare una svolta significativa all’economia italiana ma, in realtà, i contributi che è in grado di apportare non si soffermano solo alla sfera monetaria. Molti puntualizzano che la prima vera componente a trarne vantaggio sia la sfera personale.
Lavorare in autonomia aumenta la responsabilità, la motivazione e l’indipendenza. Interessante qui è riflettere sulla vera sfida alla quale siamo sottoposti in questa circostanza, ovvero la capacità di dimostrare di essere insostituibili. Già affermarsi in ambito lavorativo è, il più delle volte, una strada sterrata e in salita ma il bello arriva quando, una volta dimostrato il nostro valore, siamo chiamati a mantenere questo status dimostrandolo giorno dopo giorno. Chiediamoci: “Che impatto ha la nostra assenza da una riunione o in ufficio? Cosa comporta se i nostri colleghi sono costretti a fare a meno di noi?” È giusto affermare che “se manco io qui crolla la baracca” ?
Consideriamolo come un intrigante spunto per una salutare riflessione. Simultaneamente, molti appuntano come grazie allo smart working siano riusciti a bilanciare la vita privata e quella professionale. Dedicarsi alla famiglia, come alla cura del benessere personale, non è più sacrificabile. Il tempo è denaro dicono, e guarda caso con questa “scrivania senza catene” si risparmia circa 1 ora e 30 minuti al giorno del nostro tempo, che solitamente viene impiegato in spostamenti e attese.
L’altra faccia della medaglia è, invece, rappresentata dalla sfera economica. Infatti, questa modalità lavorativa concede alle aziende un risparmio monetario per quanto riguarda costi di strutture e spazi lavorativi, beneficiando allo stesso tempo di una più salutare produttività e meno assenteisti. Anche i prestatori di lavoro subordinato possono felicitare di un notevole risparmio di denaro, per l’appunto circa 4.000 euro all’anno, tra spese di benzina, parcheggi, biglietti dei mezzi pubblici fino ad arrivare al semplice caffè al bar.
Per capire appieno questa logica, può essere d’aiuto pensare al telelavoro come l’esame della patente da privatista: una scelta, prima di tutto, dettata da fattori che mutano soggettivamente, ma che muove in ogni caso le corde individuali dell’autogestione, del “fai da te” ma anche della competizione.
“Agire sulla flessibilità, responsabilizzazione e autonomia delle persone significa trasformare i lavoratori da “dipendenti” a “professionisti”, focalizzati e motivati ad ottenere migliori risultati con una forte attitudine all’innovazione e alla creatività”.
Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working
*Fonte: La Stampa
*Fonte: Il Sole 24 Ore